Pesci giusti nel mare sbagliato



di Giovanni Moro – sociologo

In questi giorni imperversano sui giornali e nei media le discussioni su cosa sono e su cosa dovrebbero fare i ragazzi-sardina e i molti che, un po’ ovunque in Italia, hanno raccolto il loro appello. Giornalisti più o meno acculturati, scienziati sociali sempre sul pezzo, politologi improvvisati, vecchie glorie del ’68 che non mancano mai, padri di fallimentari esperienze del passato, ex oracoli fuori moda, leader di micropartiti alla ricerca di un nuovo popolo, sono tutti lì a proporci una massiccia dose di parole in libertà. Le voci serie, che pure ci sono, rappresentano una quota decisamente minoritaria in questo coro.

Io non entro nel merito di questa discussione non solo perché la trovo stucchevole, ma soprattutto perché non ne so abbastanza e perché chi porta in piazza le persone – specialmente le persone normali – merita sempre rispetto e attenzione e mai presupponenza o paternalismo.

Voglio solo annotare la riduzione, che domina il dibattito in corso, della politica alla sua dimensione partitica ed elettorale. Come se le uniche forme possibili di rilevanza politica delle Sardine fossero la mobilitazione degli elettori per sé o per altri e la trasformazione in un nuovo partito o in una appendice di quelli che esistono.

È una visione molto primitiva e caricaturale della politica, quella che emerge. Essa riduce le possibilità del cittadino all’esercizio del voto e la stessa arena pubblica a stadio, o meglio a teatro in cui gli attori importanti non sono mai quelli della platea.

E invece bisognerebbe ricordare che l’inizio della fine della leadership di Berlusconi fu il movimento delle donne di “Se non ora quando”, che non spostarono nemmeno un voto ma delegittimarono uno stile politico che sembrava invincibile. E bisognerebbe anche non dimenticare che l’unica forma di partecipazione che è in crisi in Italia, dati alla mano, è quella ai partiti, mentre per il resto il nostro paese mostra una capacità di iniziativa civica rimarchevole anche se di solito del tutto autonoma dal sistema politico. Proprio il caso del movimento delle Sardine lo mostra.

C’è molta presunzione anche nelle domande che in modo pressante vengono rivolte a questo movimento: e ora che farete? Non lo sapete, ragazzi, che non basta protestare, che ora dovete dire qual è il vostro disegno politico e dovete misurarvi con le istituzioni, con la politica con la P maiuscola, ecc.? Sono domande che rientrano decisamente nel genere letterario della vecchia gag che si intitolava “Vieni avanti, cretino”.

E se le Sardine si limitassero invece a rendersi visibili? A materializzare la esistenza di un modo diverso da quello dominante (sia nella sua versione vincente che in quella perdente) di essere cittadini italiani? A incidere sul modo in cui il senso comune alimentato dai media rappresenta il nostro paese? Non sarebbe abbastanza? E, soprattutto, non sarebbe un ruolo altamente politico, compiuto in se stesso?

fonte: Forum Disuguaglianze Diversità

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