Videoconferenza del "Gruppo in ricerca"
Riportiamo la relazione di Antonietta, nei prossimi giorni saranno pubblicati gli interventi
Se nell’intervista a Naomi Klein si evidenziano le possibili conseguenze del capitalismo delle catastrofi, che per alcuni governi e le élite mondiali costituiscono la soluzione pianificata in risposta a crisi che sfruttano edesasperano le ingiustizie e le diseguaglianze già esistenti; nell’articolo del
gesuita, padre Gael Giraud, pubblicato il 4 aprile ’20 su Civiltà Cattolica, si prefigura una soluzione progressista della stessa crisi. Quest’ultimo, piuttosto lungo e ben argomentato, ci spinge a cercare di riassumerlo individuando i filoni di pensiero i livelli di riflessione politica che si stanno attivando di fronte alla pandemia del Covid 19
1 ) Antropologico e etico
2) Sanitario
3) Politico, a livello della teoria economico politica e a livello di possibili mediazioni.
ANTROPOLOGICO E ETICO
L’umanità è costituita da esseri caratterizzati da interdipendenza e dal limite.
Impossibile mantenere “la finzione antropologica dell’individualismo implicita
nell’economia neo liberista e nelle politiche di smantellamento del servizio pubblico
che l’accompagnano da 40 anni. L’esternalità negativa del virus sfida radicalmente
l’idea di un sistema complesso modellato sul volontarismo degli imprenditori
atomizzati”.
Non per nulla, già prima dell’epidemia, ne La Domanda Giusta avevamo cercato di
definirne l’essenza chiamando quel sistema, o meglio quel che restava di un sistema
bipolare crollato, non neo liberismo (il liberismo si fondava su una miriade di
soggetti economici che interagivano attraverso la domanda e l’offerta) ma Anarchia
Feudale Finanziaria.
A livello individuale, poi, scopriamo la paura della scarsità dei beni. Ciò può essere
un aspetto positivo in questa crisi? Ci riporta all’essenziale, a ciò che conta davvero:
la qualità delle relazioni umane, la solidarietà. Ci ricorda anche quanto sia
importante la natura per la nostra salute mentale e fisica. Coloro che vivono
rinchiusi in 15 metri quadrati a Parigi o a Milano lo sanno bene. Il razionamento
imposto su alcuni prodotti ci ricorda la limitatezza delle risorse.Benvenuti in un
mondo limitato!.
D’altra parte, anche un certo romanticismo «collapsologico»[8](decrescita felice)
sarà rapidamente mitigato dalla percezione concreta di cosa implichi, nell’attuale
situazione, la brutale difficoltà dell’economia: disoccupazione, bancarotta,
esistenze spezzate, morte, sofferenza quotidiana di coloro in cui il virus lascerà
tracce per tutta la vita.
Sulla scia dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, vogliamo sperare che questa
pandemia sia un’opportunità per indirizzare le nostre vite e le nostre istituzioni verso
una felice sobrietà e verso il rispetto per la finitudine del nostro mondo. Il
momento è decisivo: si può temere quella che Naomi Klein ha definito la
«strategia dello shock». Alcuni governi non devono, con il pretesto di sostenere le
imprese, indebolire ulteriormente i diritti dei lavoratori; o, per rafforzare
ulteriormente la sorveglianza della polizia sulle popolazioni, ridurre
permanentemente le libertà personali
SANITARIO
In termini di evoluzione biologica, per un virus è molto più «efficace» infettare gli
esseri umani che la renna artica, già in pericolo a causa del riscaldamento globale. E
questo sarà sempre più così, perché la crisi ecologica decimerà altre specie viventi. È
soprattutto la distruzione della biodiversità, in cui siamo da tempo impegnati, a
favorire la diffusione dei virus[9]. Oggi molti ne sono consapevoli: la crisi ecologica
ci garantisce pandemie ricorrenti. Accontentarsi di dotarsi di mascherine ed enzimi
per il prossimo futuro equivarrebbe a trattare solo il sintomo. Il male è molto più
profondo, ed è la sua radice che dev’essere medicata.
Ciò che affermano gli esperti è che sarebbe stato relativamente facile frenare la
pandemia praticando lo screening sistematico delle persone infette sin dall’inizio
dei primi casi; monitorando i loro movimenti; ponendo in quarantena mirata le
persone coinvolte; distribuendo in modo massiccio mascherine all’intera
popolazione a rischio di contaminazione, per rallentare ulteriormente la
diffusione (come hanno fatto a Taiwan o in Corea del sud)
Ma l’Occidente, dal punto di vista sanitario, non ha strutture e
risorse pubbliche adeguate a questa epoca e a questa situazione.
Lo smantellamento del sistema sanitario pubblico (una ideologia che uccide – la
definisce Giraud) ha trasformato questo virus in una catastrofe senza precedenti
nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici.
Non avendo altre strategie, è chiaro che il non fare nulla equivarrebbe a condannare a
morte centinaia di migliaia di cittadini, che l’inazione è semplicemente criminale. È
stata questa prospettiva a indurre Emmanuel Macron in Francia e Boris Johnson nel
Regno Unito a rinunciare alla loro iniziale strategia di «immunizzazione di
gregge» [5] e a «svegliare» l’amministrazione Trump.
ECONOMICO E POLITICO
Il ritorno dello Stato sociale
Il parziale isolamento dell’Europa (messo in atto all’indomani del palesarsi
dell’epidemia) ha ravvivato l’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto
fragile, e così lo Stato sociale è tornato ad essere molto interessante. In realtà, il3
difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è purtroppo
semplice: se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni
(cioè se RO è superiore a 1) e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel
caso di Covid-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità
pubblica forte e adeguata. Per non parlare del fatto che, in questo momento, i più
poveri tra noi – rifugiati, persone di strada ecc. – sono costretti a morire non a causa
del virus, ma perché non possono sopravvivere senza una società attiva.
La salute come bene comune globale
La pandemia ci sta costringendo a capire che non esiste un capitalismo davvero
praticabile senza un forte sistema di servizi pubblici e a ripensare completamente il
modo in cui produciamo e consumiamo, perché questa pandemia non sarà l’ultima.
La deforestazione – così come i mercati della fauna selvatica di Wuhan – ci mette in
contatto con animali i cui virus non ci sono noti. Lo scongelamento del permafrost
minaccia di diffondere pericolose epidemie, come la «spagnola» del 1918, l’antrace,
ecc. Lo stesso allevamento intensivo facilita la diffusione di epidemie.
A breve termine, dovremo nazionalizzare le imprese non sostenibili e, forse,
alcune banche, riconvertire la produzione, regolare i mercati finanziari;
ripensare gli standard contabili, al fine di migliorare la resilienza dei nostri
sistemi di produzione; fissare una tassa sul carbonio e sulla salute; lanciare un
grande piano di risanamento per la reindustrializzazione ecologica e la
conversione massiccia alle energie rinnovabili.
La pandemia ci invita a trasformare radicalmente le nostre relazioni sociali.
Oggi il capitalismo conosce «il prezzo di tutto e il valore di niente», per citare
un’efficace formula di Oscar Wilde. Dobbiamo capire che la vera fonte di valore
sono le nostre relazioni umane e quelle con l’ambiente. Per privatizzarle, le
distruggiamo e roviniamo le nostre società, mentre mettiamo a rischio vite
umane. Non siamo monadi isolate, collegate solo da un astratto sistema di prezzi,
ma esseri di carne interdipendenti con gli altri e con il territorio. La salute è un
bene comune globale e deve essere gestita come tale.
I «beni comuni» aprono un terzo spazio tra il mercato e lo Stato, tra il privato e
il pubblico. Possono guidarci in un mondo più resiliente, in grado di resistere
a shock come quello causato da questa pandemia.
La salute, ad esempio, deve essere trattata come una questione di interesse
collettivo, con modalità di intervento articolate e stratificate, a livello locale, a
livello statale, a livello internazionale. Le raccomandazioni dell’Oms per
contrastare una situazione di epidemia devono diventare vincolanti.
In questi giorni abbiamo assistito alla nascita di diversi «beni comuni»: la salute,
l’ambiente, l’istruzione, la cultura, la biodiversità sono beni comuni globali.
Dobbiamo immaginare istituzioni che ci permettano di valorizzarli, di
riconoscere le nostre interdipendenze e rendere resilienti le nostre società. Con
una rete collaborativa di terze parti, in cui cooperano il settore privato, quello
pubblico e le Ong, che riesce a fare ciò che né il settore farmaceutico privato, né
gli Stati, né la società civile possono fare da soli.
Nel frattempo, come si salva l’economia?
Proviamo a ipotizzare in questa situazione alcune possibili scelte di politica
economica:
1. Iniettare liquidità nell’economia reale. Alcuni economisti tedeschi prevedono un
calo del Pil in Germania del 9% nel 2020. Il dato è ragionevole e ci sono pochi
motivi per cui le cose possano andare diversamente in Francia e, anche peggio, in
Italia, Inghilterra, Svizzera e Paesi Bassi. Ciò dovrebbe indurre Germania e
Olanda – i fautori della convinzione secondo la quale una maggiore austerità di
bilancio aggiusta l’economia, mentre la macroeconomia più elementare dimostra
il contrario – a rivedere i loro dogmi, se ancora l’escalation di vittime nei
rispettivi Paesi non bastasse a far loro aprire gli occhi.
Negli Stati Uniti, Donald Trump propone al Congresso di distribuire un assegno
di 1.200 dollari a ciascun cittadino statunitense. Possiamo anche vedere
nell’iniziativa dell’amministrazione Trump l’abbozzo di un reddito minimo
universale per tutti. Una proposta che è stata avanzata da molti per lungo tempo.
In Europa, la sospensione delle regole del Patto di stabilità, l’emissione di
«obbligazioni corona» o l’attivazione di prestiti del Meccanismo europeo di
stabilità sono tutte misure essenziali.
2. Creare posti di lavoro. Tuttavia, le iniziative appena menzionate sono
insufficienti. È necessario comprendere che il sistema di produzione
occidentale è, o sarà, parzialmente bloccato. A differenza del crollo del
mercato azionario del 1929 e della crisi dei mutui subprime del 2008, questa
nuova crisi colpisce innanzitutto l’economia reale. Non siamo solo di fronte a
una carenza keynesiana della domanda – perché chi ha i contanti non può
spenderli, dal momento che deve rimanere a casa –, ma di fronte anche a
una crisi dell’offerta. Questa pandemia ci introduce, dunque, in un tipo di
crisi nuovo e senza precedenti, in cui si uniscono il calo della domanda e
quello dell’offerta. In tale contesto, l’iniezione di liquidità è tanto necessaria
quanto insufficiente
Solo lo Stato, perciò, può creare nuovi posti di lavoro capaci di assorbire la
massa di dipendenti che, quando usciranno finalmente di casa, scopriranno di aver
perso il lavoro
Naturalmente, affinché ciò abbia un senso, dobbiamo seriamente pensare al
tipo di settori industriali per i quali vogliamo favorire l’uscita dal tunnel.
Questo discernimento dev’essere fatto in ciascun Paese, alla luce delle
caratteristiche specifiche di ciascun tessuto economico.
È quindi legittimo e indispensabile che gli Stati occidentali, oggi come ieri,
utilizzino una spesa in deficit per finanziare lo sforzo di ricostruzione del
sistema produttivo che sarà necessario alla fine di questo lungo parto; e lo
dovranno fare in modo acuto e selettivo, favorendo questo o quel settore.
Ovviamente, il loro debito pubblico aumenterà.
In altre parole, l’austerità uccide – lo vediamo bene coi nostri occhi in questo
momento, nei nostri reparti di rianimazione –, ma non risolve alcun problema
macroeconomico.
Ricostruire e salvare la democrazia
A questo punto, un possibile errore sarebbe quello di apprezzare l’efficacia
dell’autoritarismo come soluzione. Una volta abbandonato il contenimento in
maniera controllata, un’altra pericolosa trappola sarebbe quella di limitarci a
ripristinare semplicemente il modello economico di ieri, accontentandoci di
migliorare in modo marginale il nostro sistema sanitario per far fronte alla
prossima pandemia. È urgente capire che la pandemia Covid-19 non solo non è un
cosiddetto «cigno nero» – era perfettamente prevedibile, sebbene non sia stata affatto
prevista dai mercati finanziari onniscienti –, ma non è nemmeno uno
«shock esogeno». Essa è una delle inevitabili conseguenze dell’Antropocene.
La ricostruzione economica che dovremo realizzare dopo essere usciti dal tunnel
sarà l’occasione inaspettata per attuare le trasformazioni che, anche ieri,
sembravano inconcepibili a coloro che continuano a guardare al futuro
attraverso lo specchietto retrovisore della globalizzazione finanziaria. Abbiamo
bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da una rì
localizzazione di tutte le nostre attività umane.
Ma, per il momento, e per accelerare la fine della crisi sanitaria, è necessario fare ciò
che è possibile, e dunque proseguire negli sforzi per schermare e proteggere la
popolazione.
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