Tradimento di una riforma quasi perfetta - 1 antefatto
Che fine ha fatto il dibattito sulle riforme del Paese che
impegna a ciclo continuo l’opinione pubblica?
In particolare che fine ha fatto il dibattito sul sistema
sanitario e sulla territorialità che dovrebbe esserne al centro?
Prima di analizzare l’attualità occorre approfondire come,
in Italia, sia nato lo stato sociale nel suo complesso ed in particolare il
sistema sanitario.
Iniziamo appunto dal servizio sanitario
In Italia, come d’altra parte in Europa, alla base c’è stata
la diffusione degli ospedali che comincia nell'Alto Medioevo in ambito
cristiano con l'obiettivo principale di facilitare l'avvento dei pellegrini a
Roma. In questo contesto, tra i più antichi ospedali d'Europa ancora operante è
l'Ospedale di Santo Spirito in Sassia a Roma.
Cercando di essere veloci, possiamo dire che a seguito
soprattutto della grande pestilenza a metà del Trecento nacque l'esigenza di
aprire ulteriori strutture per l'isolamento degli appestati per prevenire il contagio
tra la popolazione: i lebbrosari.
I lebbrosari decadranno nel corso del XVI secolo insieme
alla scomparsa della lebbra: le stesse strutture saranno però spesso
riconvertite per ospitare i malati di sifilide, la nuova malattia per il
continente Europeo portata in Italia forse dalle truppe di Carlo VIII (e per
questo motivo chiamata all'epoca anche "mal francese").
E’ con l'introduzione degli ospedali, definiti degli
Incurabili, che nacque la specializzazione dei grandi ospedali e che venne
considerata positivamente dai contemporanei nel contesto urbano rinascimentale.
Come già era accaduto nel Medioevo tuttavia, permanevano strutture con vari usi,
a volte misti, della cura delle malattie e luoghi di assistenza in senso più
ampio (includendo anche brefotrofi, eccetera). Questo avvenne soprattutto nel
nord Italia; nel resto della penisola, inclusa Roma, venne mantenuta inoltre la
tradizionale impostazione caritatevole, pur intensificandosi progressivamente
l'attività chirurgica e medica che permise i notevoli progressi scientifici del
secolo successivo. Ciascun ente di assistenza era tipicamente, come accadde fin
dal Medioevo, associato ad un patrimonio fondiario ed immobiliare tale da
garantirne l'indipendenza economica e dunque l'accesso alla popolazione.
Con varie vicissitudini (occupazione di Napoleone con la
requisizione dei patrimoni religiosi e la successiva restaurazione) il modello
rimase in piedi fino al 1888 anno in cui nacque a Roma la Direzione Generale
della Sanità pubblica (che rimarrà attiva fino al 1945) con il regio decreto n.
4707 del 3 luglio 1887 inquadrata, questo una novità, presso il Ministero
dell'Interno. Con la cosiddetta legge Crispi vennero istituite le IPAB (Istituti
di Pubblica Assistenza e Beneficenza), stabilendo la differenza tra gli
ospedali veri e propri e gli enti di assistenza di altro tipo (orfanotrofi,
ospizi, ecc.).
Trent’anni dopo il fascismo introdusse delle forme di assistenza
specializzata a seconda le categorie di individui (ad esempio si crearono
istituti per sordomuti, per giovani, per invalidi di guerra, ecc.): il primo
istituto di questo tipo ad essere creato è l'Opera Nazionale per la Protezione
della Maternità e dell'Infanzia, istituito con legge 2277 del 10 dicembre 1925.
Nel 1937 con legge n. 847 del 3 giugno vennero soppresse le Congregazioni di Carità,
rimpiazzate dagli Enti comunali di assistenza, divenuti così obbligatori in
ogni comune.
In un recente libro: “Storia dello Stato sociale in Italia” Chiara
Giorgi e Ilaria Pavan dedicano un lungo capitolo al ventennio, particolarmente
importante nell’economia dell’opera. Non solo perché contribuisce a sfatare i
più dozzinali luoghi comuni sulla presunta generosità del welfare fascista. Di
più, in queste pagine emerge chiaramente come la politica sociale del regime
costituì addirittura la radice di molte gravi distorsioni del Welfare State
italiano: una miriade di trattamenti differenziati tra le varie categorie di
lavoratori, l’uso clientelare delle provvidenze sociali, la profonda spaccatura
di genere indotto da politiche per il lavoro rivolte soprattutto agli uomini e
misure per la famiglia destinate principalmente alle donne. Il tutto in una
selva di enti, istituti e casse mutua nelle cui maglie si consumava il connubio
tra politica e interessi privatistici. Da qui l’origine della frattura tra
garantiti e non garantiti, di cui ancora oggi sono evidenti gli effetti.
Certo, la nascita della Costituzione rappresentò un
innegabile spartiacque che incastonò i diritti sociali direttamente nel codice
genetico della neonata Repubblica. Tuttavia, archiviata l’esaltante stagione
costituente, le risorse finanziarie del Paese vennero a lungo destinate
soprattutto alla modernizzazione produttiva, lasciando indietro la spesa
sociale.
E’ con gli anni sessanta e settanta che si denota la
capacità del Paese di recuperare in poche manciate di anni il terreno perso in
decenni di ritardi rispetto allo standard europeo. In particolare, gli anni
Settanta vengono evidenziati come uno snodo fondamentale nella costruzione
dello Stato sociale italiano. Ciò rende giustizia ad un decennio che viene di
solito troppo sbrigativamente associato al terrorismo e alla calcificazione
della democrazia consociativa. A rinsanguare il welfare italiano fu negli anni
Settanta una felice convergenza tra i movimenti sociali, la radicalizzazione di
alcuni settori della scienza (incarnata da figure come Franco Basaglia o Giulio
Maccacaro) e non è da escludere la maggiore concordia tra la democrazia cristiana
e le sinistre. Così la riforma tributaria fornì nuove risorse da destinare
anche al capitolo sociale: la legge Basaglia inferse un colpo mortale al
sistema manicomiale, il divorzio e la riforma del diritto di famiglia misero in
discussione il pregiudizio maschilista che aveva informato le politiche di
assistenza sino ad allora, la legalizzazione dell’aborto ebbe un indiscutibile
impatto positivo sulla sicurezza sanitaria delle donne.
La grande novità degli anni Settanta fu però il Servizio
sanitario nazionale. È utile soffermarci su questo tema per due motivi. Primo,
la nascita del SSN nel 1978 trasformò radicalmente il volto della sanità,
storicamente il settore più arretrato del Welfare State italiano, ottenendo
miglioramenti tangibili della salute pubblica già nell’arco di un decennio.
Secondo, tornare ad analizzare le origini del nostro servizio sanitario risulta
molto utile nella congiuntura storica che stiamo vivendo, in cui la riforma di
questo comparto è tornata all’ordine del giorno.
CONTINUA
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