Tradimento di una riforma quasi perfetta - 2 dalla riforma alla controriforma

 

Il 23/12/1978, quando venne approvata in via definitiva, la legge 833 trasformò radicalmente il volto della Sanità, storicamente il settore più arretrato dello “stato sociale” italiano, ottenendo miglioramenti tangibili della salute pubblica già nell’arco di un decennio.

Era passato un anno da quando il sistema mutualistico in Italia era stato definitivamente abrogato. Con l’approvazione della legge 29 giugno 1977 n. 349 era stata eliminata tutta una selva di enti, istituti e casse mutua nelle cui maglie si era consumato il connubio tra politica e interessi privatistici e che metteva in luce la frattura tra garantiti e non garantiti. Eppure già trent’anni prima l’art.32 della Costituzione diceva con chiarezza: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”. Finalmente una legge dello stato, appunto la legge di Riforma Sanitaria, all’articolo 1 lo scriveva con chiarezza e aggiungeva che: “la tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana.”

La legge 23 dicembre 1978 n. 833 costituiva il corollario o, per meglio dire, il punto normativo terminale di un progressivo lavoro di straordinaria modificazione dell’organizzazione sanitaria nel nostro Paese.

Essa si basava sull’istituzione di un Servizio Sanitario Nazionale, avente tre caratteristiche essenziali: essere un sistema generalizzato o, per meglio dire, universale, che riguardava la totalità della popolazione; essere un sistema unificato perché un solo contributo copriva l’insieme dei rischi; essere un sistema uniforme, poiché garantiva le stesse prestazioni a tutti gli interessati.

Alla gestione unitaria della tutela della salute, come recita l’articolo 10, si provvedeva in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, mediante una rete completa di Unità Sanitarie Locali, definite: “come il complesso dei presidi, dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane”.

Organo centrale della USL era il Comitato di Gestione che, scelto tra cittadini aventi esperienza di amministrazione e direzione documentata da un curriculum, era espressione del territorio e con il territorio aveva un rapporto continuo anche attraverso conferenze annuali aperte alla popolazione.

Nello specifico, lo snodo fondamentale della questione era il seguente: come trasformare i cittadini da fruitori passivi delle prestazioni sanitarie a utenti attivi, dotati di strumenti partecipativi entro una struttura del SSN aperta alla comunità? In origine, questo avrebbe dovuto essere lo scopo delle Unità Sanitarie Locali

Ma proprio questo rapporto con il territorio, secondo la stampa di destra che già in fase di approvazione della legge si era opposta, lasciava spazio eccessivo ad una concezione assembleare dei poteri che favoriva la confusione tra le funzione della parte politica e di quella tecnica. In effetti la 833 trovò immediati ostacoli alla sua concreta applicazione a causa dell’opposizione di una grossa fetta della classe medica, la categoria più importante, e della scelta di considerare veramente universale solo il servizio a totale gratuità.

Chiara Giorgi e Ilaria Pavan, nel loro recente libro: “Storia dello Stato sociale in Italia”, in più di un’occasione   evidenziano come la nascita del SSN sia avvenuta in prossimità dell’inizio della stagione neoliberista che, negli anni successivi, avrebbe comportato l’esaurimento delle spinte riformatrici degli anni Settanta. A partire dagli anni Ottanta, complice anche il clima di sfiducia nei politici eletti nei Comitati di Gestione e alimentato dai giornali, alcuni settori dell’opinione pubblica cominciarono a guardare con crescente benevolenza alla eventuale gestione aziendalistica della sanità.

Nel corso degli anni ’80, per eliminare alcune distorsioni del sistema furono emanate piccole leggi di modifica della 833 e, tra l’altro, vennero cancellati i comitati di gestione, furono istituiti i ticket per frenare una spesa ed un consumo sanitario che si stavano facendo sempre più pesanti.

Questi provvedimenti non servirono ad allontanare dalla pubblica opinione, l’idea che il Servizio Sanitario fosse tra i maggiori responsabili del dissesto finanziario nel quale versava il Paese.

Sbandierando lo slogan “meno Stato, più mercato”, alcuni settori politici ed economici influenti premettero, in modo confuso, per un cambiamento della politica sanitaria in senso “americano”.

Nel 1987, la risposta, da parte del governo consistette nella presentazione di un progetto di legge che introduceva nella sanità il concetto “aziendale”. L’intendimento era di scorporare i grandi ospedali e  trasformare le Usl in aziende autonome finanziate dalle Regioni con il contributo integrativo dello Stato.

Il progetto di legge non fu convertito in legge per la fine della legislatura, come pure nella successiva un altro simile, che conteneva in più la scomparsa dei comitati di gestione. La politica, era chiaro, aveva distrutto la sanità; fuori la politica dalla sanità, dichiarava il ministro De Lorenzo, ottenendo peraltro un buon consenso. Il suo progetto, comunque, non prevedeva lo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale ma la sua trasformazione in un’area di “mercato sociale”, nella quale esistano i produttori (gli ospedali) e gli acquirenti di prestazioni (le Usl per conto dei cittadini). E’ l’impostazione che Margaret Thatcher aveva dato alla sua controriforma sanitaria. Nei fatti nemmeno la “Lady di ferro”, coriacea sostenitrice della deregulation capitalistica, se l’era sentita di eliminare in Gran Bretagna il diritto alla tutela della salute. (fonte http://www.societasalutediritti.com/)

Il progetto si concretizzò però nel 1992 con l’approvazione della legge 502 e la trasformazione delle Usl in aziende; contemporaneamente furono introdotti meccanismi economico gestionali autonomi con l’unico scopo di amministrare e controllare la spesa sanitaria. In realtà si era prodotta una mercificazione della salute: da una parte le dinamiche concorrenziali proprie del mercato libero avevano mortificato la sanità pubblica a favore di quella privata, dall’altra si era smarrita la visone d’insieme del sistema. Le aziende da quel momento ragionarono come monadi che pensano solo al budget annuale e di conseguenza al risparmio. Nessuno vedeva più la salute come un bene su cui investire, si pensa solo a contenere il più possibile la spesa.

Nello stesso anno con legge 229 l’allora Ministro Rosy Bindi tentò di metterci una pezza; ma questa è un’altra storia…

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