Tradimento di una riforma quasi perfetta - 3 epilogo

 



Nel precedente articolo abbiamo visto come negli anni ‘80 l’attacco ai principi fondanti della legge 833 di Riforma Nazionale Sanitaria sia stato particolarmente violento, fino ad arrivare all’approvazione della legge 502/92 (definita “la riforma della riforma”).

Per comprendere meglio perché ciò sia accaduto è giusto, però, inserire la vicenda nel quadro internazionale. 

Era la fine di aprile del 1985 quando Roberto D’agostino coniò un termine che divenne un tormentone: “Edonismo reganiano”. Tutti furono attratti dalla concezione filosofica secondo cui il piacere è il sommo bene dell'uomo e il suo conseguimento il fine esclusivo della vita. Di Reagan si pensò solo ai suoi trascorsi di attore, effimeri per definizione, dimenticando il resto. 

Ma Reagan oltre oceano e Margaret Thatcher in Europa furono, in quegli anni, gli statisti che meglio esprimevano i principi della cosiddetta Scuola di Chicago di Milton Friedman:

-riduzione della spesa pubblica;

-riduzione dell'imposta federale (nel caso americano) sul reddito e di quella sulle plusvalenze;

-riduzione della regolamentazione del governo.

 

Insomma “meno Stato, più mercato”. 

In Italia qualcosa del genere si concretizzò nel 1992 con il decreto 502: “Riordino della disciplina in materia sanitaria” a firma del ministro De Lorenzo, da cui prese il nome. Costituì, nei fatti, una vera e propria controriforma: si introducevano pesanti tagli all’assistenza sanitaria, basandosi sul concetto che lo Stato, non potendo garantire tutto a tutti, avrebbe dovuto limitarsi ad erogare uno standard minimo di prestazioni, lasciando alle Regioni il compito di ridefinire le risorse attraverso una maggiore autonomia impositiva (ticket, aumento della tassazione sanitaria ecc.).   

Il finanziamento delle Regioni avverrà da allora in poi, sulla base di parametri non più determinati dai bisogni dei cittadini, ma dalle risorse disponibili. In particolare per gli ospedali il finanziamento avverrà attraverso lo strumento del DRG (in italiano raggruppamenti omogenei di diagnosi, strumento attinto dalla sanità anglosassone), in base cioè alla qualità delle prestazioni: più alte le prestazioni più alte le remunerazioni.

A tutto danno della prevenzione e della medicina di base. 

Sempre nella 502/92 prende forma la strategia dei fondi integrativi per fornire prestazioni aggiuntive a quelle assicurate dal SSN.

In verità l’idea non è nuova. Già nel 1986, l’approvazione del DPR 917 aveva segnato la prima reale svolta normativa a livello nazionale del cosiddetto “welfare aziendale”, occupandosi di disciplinare gli strumenti di welfare (benessere del lavoratore) attraverso le disposizioni inerenti le erogazioni collaterali alla retribuzione, ovvero i cosiddetti “fringe benefit”, attraverso il testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

Nessuno troverebbe nulla da ridire se non fosse per il fatto che i benefit, attraverso un sistema di recupero delle imposte, che dal 1986 diventerà sempre più sofisticato, sarà praticamente a carico dello Stato, lasciando al datore di lavoro il ruolo del benefattore illuminato.

Torniamo al Servizio Sanitario.

Il decreto 502 previde, tra le altre cose, lo strumento dell’accreditamento, attraverso il quale le strutture pubbliche e private, per poter ricevere finanziamenti dovevano semplicemente dichiarare di essere in possesso dei requisiti minimi previsti dall’atto di indirizzo.

Con l’accreditamento le strutture pubbliche si trovarono a dover concorrere con quelle private, per giunta  obbligate a soddisfare un segmento di utenza non appetibile dal privato.

D’altra parte, complici anche trasmissioni televisive e articoli di giornale, la richiesta abnorme di esami strumentali, sempre più sofisticati, intasarono le liste d’attesa delle AASSLL.

Il privato, non legato da lacci e lacciuoli, dava sempre una risposta, quasi sempre non in convenzione, utilizzando anche i “benefici” dei fondi integrativi.

Nel clima che abbiamo descritto ben poco potette fare la riforma Bindi del dicembre 1992.

Il processo di privatizzazione della sanità verrà completato anche se in certi punti aveva delle positività: il decreto legislativo 229 ad esempio riconosceva che i Livelli Essenziali d’Assistenza fossero definiti dal Piano Sanitario Nazionale, nel rispetto dei principi della dignità della persona, della qualità delle cure, della loro appropriatezza.

Di tutto rispetto è anche l’art 1 quando afferma: “La tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale”.

Il processo di aziendalizzazione e privatizzazione della sanità non viene bloccato: le Aziende sanitarie saranno disciplinate dal diritto privato, soggette al vincolo di bilancio e governate da un direttore generale, affiancato da un direttore sanitario e un direttore amministrativo, con poteri mai visti prima nel settore pubblico.

Nel marzo del 1997 la legge Bassanini (“Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”) ridefinì le competenze fra Stato/Regioni/Comuni ed affidò alle Regioni quella sulla programmazione e gestione dei servizi sanitari e sociali.

Un altro duro colpo al sistema sanitario pubblico nazionale.

Una manna per la Regione Lombardia che promulgò immediatamente la legge n. 31 sulle “Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei servizi sociali”. La legge previde che “chiunque svolga una funzione pubblica è da considerare tout-court servizio pubblico” e come tale finanziabile dalla fiscalità generale.

Il principio conseguente diventa quello della “libera scelta” del cittadino per consentire la quale andava superata, in sanità e non solo, la distinzione fra pubblico e privato. In pratica più che di privatizzazione dei servizi pubblici si dovrà parlare di pubblicizzazione di quelli privati che da quel momento hanno potuto fruire di ingenti risorse a scapito delle strutture pubbliche anche quando non garantivano tutti i diritti in materia sanitaria.

La rapina del pubblico da parte della regione Lombardia non finisce qui ma per completezza rimandiamo all’articolo di Nicoletta Pirotta del22/04/2020.

Per concludere riportiamo quanto affermato da Walter Ricciardi, Direttore scientifico dell’Osservatorio: “l’esperienza della pandemia ha dimostrato che il decentramento della sanità, oltre a mettere a rischio l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla salute, non si è dimostrato efficace nel fronteggiare una situazione emergenziale, come quella che abbiamo vissuto. Le regioni non hanno avuto le stesse performance e, di conseguenza i cittadini non hanno potuto avere le stesse garanzie di tutela e di cura. Il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace e le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi molto disomogenee. Basti pensare alle differenze nella gestione dei contagiati tra la sanità delle diverse regioni italiane: il Veneto ha la quota più bassa di ospedalizzati e quella più alta di soggetti positivi posti in isolamento domiciliare. All’inizio della pandemia questa Regione aveva in isolamento domiciliare circa il 70% dei contagiati, nell’ultimo periodo oltre il 90%. La Lombardia e il Piemonte hanno percentuali di ospedalizzazione tra il 50% e il 60% all’inizio della pandemia, poi cresciute oscillando tra il 70 e l’80%.

Allora se, come ci ha dimostrato il virus, la salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno perché viviamo in una relazione di interdipendenza, lottare insieme per un sistema sanitario pubblico diventa imprescindibile.

A un anno e mezzo dall’inizio della pandemia c’è da chiedersi:

Che fine ha fatto il dibattito sulle riforme del Paese che impegna a ciclo continuo l’opinione pubblica?

In particolare che fine ha fatto il dibattito sul sistema sanitario e sulla territorialità che dovrebbe esserne al centro?

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