FRATERNITA': UNA BASE PER LA DEMOCRAZIA di Stefano Sacconi
Sono già tre anni che Stefano Sacconi ci ha lasciato, lasciandoci anche una mole di scritti in cui ritroviamo la sua intelligenza creativa, la sua capacità di “pensare il mondo” e la sua passione per la politica e per le sorti dell’umanità.
Lo scritto, che qui di seguito pubblichiamo, affronta il tema della Fraternità, come base per una democrazia compiuta e terzo e disatteso valore della Rivoluzione Francese.
Stefano è stato un intellettuale profondamente laico e di Sinistra e, oggi, ci è sembrata profetica la sua intuizione in sintonia con quanto dice papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”.
Anche se, in alcuni punti, ovviamente datato, lo scritto di Stefano afferma e cerca di dimostrare che la Fraternité possa e debba avere un ruolo politico nell’affrontare la crisi epocale che stiamo attraversando e, ci sembra, che spalanchi le porte di una più vasta area politica dando una sponda pienamente laica, politica e fattuale a valori che, come Fraternità, la Sinistra non può non condividere.
Bozza dagli atti del Convegno "La solidarietà come criterio di qualità e di giudizio"
1. La speranza tradita
Ci delude (delude tutti coloro che credono nell'ideale della
solidarietà come base della convivenza umana) l'esito della crisi del vecchio
assetto: nel mondo, la fine del bipolarismo porta guerre e sopraffazioni invece
di un rapporto più libero e paritario fra i popoli; in Italia, la fine del
regime consociativo e della sua estrema degenerazione in Tangentopoli trova
sbocco a destra, in un potere video-plebiscitario di contenuto antisolidarista.
La restrizione degli spazi di solidarietà cui di fatto si
assiste, con le incertezze di prospettiva per la democrazia e per la pace che
vi sono connesse, rischiano di produrre un ripiegamento nella nostalgia per le
vecchie sicurezze, con la conseguenza di lasciare il campo ancor più libero
alle forze sinora vincenti. Non è invece il rimpianto per l'assetto ormai
defunto, né tanto meno una retrospettiva messa in ombra dei suoi limiti, a
poter sottrarre spazio a tali forze; ma piuttosto l'accettazione piena della
fine di un'epoca e l'altrettanto piena presa di coscienza delle motivazioni
reali e profonde della sua crisi irreversibile.
2. La democrazia
dipendente
Se oggi la democrazia è a rischio, ciò non dipende solo
dalla protervia di chi punta a comprimerne e impoverirne i contenuti, e persino
a intaccarne le garanzie formali, ma anche e soprattutto dalla mancata
affermazione di un principio autonomo della democrazia come tale: capace cioè di offrirle dall'interno una sufficiente base di sostegno.
Per due secoli, in effetti, dei tre "immortali
principî" del 1789 solo i primi due (libertà e uguaglianza) si sono
rivelati in grado di concretizzarsi, di trovare rispettivamente una propria
base sociale (la borghesia e il proletariato), per essere infine assunti a
principi-base di due contrapposti sistemi sociali, politici, istituzionali:
quello liberale-capitalistico e quello socialista-pianificatorio.
Viceversa il terzo principio, quello della fraternità, non è
mai riuscito a scendere dal cielo delle affermazioni retoriche: o meglio vi è
in parte riuscito solo in alcune realizzazioni parziali, occasionali,
marginali, nell'ambito di sistemi sociali e politico-istituzionali dominati da
uno degli altri due principî, ovvero da un semplice compromesso fra di essi
(come nel caso della socialdemocrazia e della sua base economica di ispirazione
keynesiana; ovvero, sul piano internazionale, nel caso dell'accordo di Yalta).
Ed è proprio questo terzo principio, invece, quello sul
quale si potrebbe incentrare un'autonoma consistenza della democrazia: di una
democrazia capace essa stessa di affermarsi come "sistema". E' la
mancata affermazione generale del principio della fraternità ad aver fatto sì
che la democrazia non potesse affermarsi altro che appoggiandosi vuoi su forze
esprimenti ciascuna una parte in seno alla società (le classi contrapposte, identificabili ciascuna in una polarità della
dialettica capitale/lavoro), vuoi su sistemi intrinsecamente disomogenei
rispetto alla stessa democrazia, come sono sia il capitalismo privato
espropriatore di chi lavora, sia l'economia di comando in cui si traduce il
"piano" statale caratteristico dell'esperimento sovietico.
Si è trattato in ogni caso di una democrazia dipendente da qualcosa d'altro, non autonoma.
Di una democrazia di superficie ("sovrastrutturale", avrebbe detto
Marx): incapace di investire il meccanismo profondo (la "struttura")
dell'economia e della produzione: chi si sentirebbe di affermare che in una
fabbrica (dell'Est come dell'Ovest) siano mai stati o siano oggi in vigore
rapporti di potere complessivi che possano sensatamente definirsi
"democratici"?
Questa dipendenza in cui finora la democrazia moderna è
rimasta confinata ha fatto sussistere in essa, del resto, un carattere che la
equipara per certi aspetti alla forma antica della democrazia: quella che ebbe
la sua massima espressione nell'età aurea delle poleis greche. Come, infatti, quest'antica forma di democrazia poté
fiorire per i liberi cittadini solo al prezzo della servitù dei non-cittadini,
così la democrazia moderna non è tuttora riuscita a fondarsi altrimenti che
sulla sottostante non-democrazia dei rapporti produttivi.
La democrazia moderna, insomma, è riuscita a investire la
sfera della politica, dei poteri civili, e in qualche misura, per quanto
concerne l'economia, la sfera della distribuzione della ricchezza; ma non mai,
sostanzialmente, quella della produzione della stessa ricchezza: essa è a mala
pena, e assai parzialmente, riuscita a distribuire secondo criteri democratici
una ricchezza prodotta comunque in modi a essa estranei. Non meno della
democrazia antica, in sostanza, la democrazia moderna può essere definita una
democrazia parassitaria.
3. La democrazia
sdoppiata
Una riprova di questa (finora) mancata pienezza della
democrazia, anche nella sua figura moderna, è data dal carattere ambiguo, dicotomico, sdoppiato che essa
ha finora posseduto: è data, in altri termini, dal duplice significato che la
stessa parola "democrazia" continua ad assumere nel discorso politico.
Una doppiezza sostanziale e non solo semantica.
In effetti, "democrazia" significa per un verso garanzia istituzionale dei diritti
civili e politici offerta a tutti i cittadini senza distinzione di classe, di
censo o d'altro genere: in tale accezione essa non è altro che un'estensione
universalistica del principio garantista che caratterizza il liberalismo, principio che
nell'orizzonte puramente liberale resta indissolubilmente vincolato (e limitato)
dal, presupposto proprietario. Per altro verso, però, “democrazia’' significa potere dei non-proprietari organizzati
in sindacati e partiti: in tal senso essa è considerata il terreno più
favorevole per l'affermazione del socialismo.
Si tratta, evidentemente, di due accezioni non solo fra loro
differenti e collocate su terreni diversi (formalista nel primo caso,
sostanzialista nel secondo), ma anche, in buona misura, fra loro
disomogenee e incompatibili.
L'impossibilità di comporle in un concetto univoco si traduce in concreto
nell'impossibilità, finora, di dare alla democrazia un principio unitario e
autonomo. Le due accezioni, infatti, corrispondono né più né meno alle due
"letture" che della democrazia sono state date, dai rispettivi punti
di vista, dalle due classi protagoniste della moderna dialettica sociale (la
borghesia e il proletariato) e dai due sistemi (quello capitalista e quello
socialista) che si sono contrapposti nel secolo ormai al tramonto.
L'esaurimento del compromesso sociale, politico e
interstatuale fra le "due democrazie", compromesso che ha consentito
negli ultimi decenni, pur fra mille contraddizioni, un'estensione senza
precedenti della stessa dimensione democratica, mette oggi impietosamente a
nudo la parzialità e l'insufficienza di ciascuna delle due
accezioni: quella sostanzialista, uscita sconfitta dalla crisi del vecchio
compromesso, e quella garantista, la cui affermazione pressoché senza
contrappesi rischia di dar luogo a una riduzione della democrazia a mera
copertura giuridico-formale di un ristabilito, secco predominio della proprietà
socialmente consolidata.
4. La fraternità come
principio autonomo della democrazia
Se si vuole evitare, dunque, che la crisi, giunta ormai
all'estremo, del compromesso fra i "due sistemi", le "due
democrazie" e i due principî (libertà e uguaglianza) che vi sono
rispettivamente sottesi degeneri in modo catastrofico per la dimensione
democratica come tale, e per l'avvenire stesso dell'umanità; se si vuole
evitare, nell'immediato, che il precipitare di tale crisi, data la sconfitta del
sistema sovietico, si traduca in un brutale ritorno indietro a danno della
parte più debole della società, è necessario prospettare una democrazia che si
regga da sé sola, fondandosi su di un principio autonomo e direttamente a essa
omogeneo.
Un tale principio - come già accennato - può essere trovato
nei terzo di quelli che la Rivoluzione francese scrisse sulle proprie bandiere
ma che, contrariamente agli altri due, non riuscì poi ad affermarsi in concreto
al di là di una dimensione sporadica e occasionale: il principio della fraternità.
Quali caratteristiche, infatti, deve possedere un principio
che voglia essere autonomamente fondativo della democrazia?
Possiamo rispondere a questa domanda, innanzi tutto, in
negativo. Per fondare autonomamente la democrazia né libertà né uguaglianza
possono da sé sole bastare perché entrambe, come principî fondativi di una
convivenza sociale che possa dirsi a pieno titolo democratica (vale a dire
realmente "di tutti"), sono unilaterali e parziali: la sola libertà
diviene libertà dei più forti a danno dei più deboli, dei ricchi a danno dei
poveri, degli uomini a danno delle donne, degli appartenenti a determinate
etnie o culture a danno degli altri, etc.; la sola uguaglianza diviene
appiattimento e soffocamento delle differenze, nonché della stessa libertà, e
con ciò di ogni possibile crescita economica e civile.
La stessa fondazione della democrazia sul compromesso fra
tali due principi dà vita a una costruzione ibrida e intimamente
contraddittoria, destinata perciò a erodere via via le proprie basi fino - a
lungo andare - a un crollo inevitabile. La democrazia fondata sulla pura
libertà è dinamica ma iniqua, quella fondata sulla pura
uguaglianza è illiberale (e perciò statica), quella, infine, fondata sul
compromesso fra libertà e uguaglianza è precaria
a causa della propria intima contraddittorietà.
In tutti e tre i casi si tratta di una democrazia parziale e parassitaria nei
confronti di assetti sociali (quello capitalistico e quello pianificatorio)
sostanzialmente non democratici.
Perché, invece, si può sostenere che il principio della
fraternità sia di per sé adeguato al fine di un'autonoma fondazione della
democrazia? Si può sostenerlo sulla base del ragionamento seguente.
"Fraternità" significa riconoscimento della differenza come
caratteristica costitutiva delle persone (dei sessi, delle età, delle etnie,
delle culture, delle razze), quindi riconoscimento reciproco della pari dignità
di ciascuno nel suo "esser diverso".
Per questo suo significato, il principio della fraternità
può essere assunto come valido fondamento di una società capace di accogliere tutti al proprio interno senza
comprimere le differenze di ciascuno (senza appiattire in una indistinta
uguaglianza) e senza però lasciare che l' "in più" (di ricchezza, di
forza, di sapere) posseduto da alcuni dia a costoro la libertà di prevaricare
sugli altri. Quella così tratteggiata è per l'appunto una società che merita il
nome di "democratica".
5) Il canone
applicativo: la responsabilità
Il fatto che il principio della fraternità non si sia finora
affermato come fondamento della società, che quindi la democrazia non si sia
finora dimostrata capace di costituirsi in "sistema" autonomo,
dipende essenzialmente da due fattori: dal punto di vista storico, dipende dal
fatto che la stessa democrazia si è venuta costruendo come sviluppo e
universalizzazione del liberalismo, mantenendo perciò come propria base
economico-sociale il sistema capitalistico, cui il principio di uguaglianza
(con il movimento e il sistema fondati su di esso) si è opposto come semplice
reazione dialettica; sul piano metodologico e concettuale, poi, dipende dal
fatto che lo stesso principio di fraternità, per potersi affermare in termini
non solo episodici e marginali, ma universali, per poter cioè esprimere appieno
la propria forza pervasiva nei confronti dell'intera società umana, per poter
divenire, in sostanza, principio fondatore della "democrazia come
sistema" ha bisogno a sua volta di rispondere a un puntuale e vincolante
canone applicativo: quello della responsabilità.
Ciò significa, in sostanza, che tutte le manifestazioni
concrete del principio di fraternità devono essere attuate "facendo bene i
conti" sia sul terreno propriamente economico sia su ogni altro terreno (ad
esempio quello ambientale) in relazione al quale ciascuna di tali
manifestazioni comporti dei "costi". Questo criterio d'attuazione
deve diventare pienamente vincolante e universale: quale finora non è stato,
rimanendo piuttosto legato alle scelte soggettive di ogni "promotore di
fraternità" e dando perciò allo stesso principio un carattere di gratuità.
Cosicché esso è rimasto confinato nella sfera etico-religiosa e non ha potuto
assumere il ruolo di principio-base della vita associata (va detto, del resto,
che l'assunzione del canone della responsabilità, data l'immersione, comunque,
di ciascuna manifestazione concreta della fraternità stessa in una società
dominata da questo o quel principio diverso, ha finora comportato un
sostanziale appiattimento di tali manifestazioni vuoi rispetto a quelle del
capitalismo, vuoi rispetto a quelle dell'economia pianificata).
6) La "nuova
classe generale"
E' possibile che questa prospettiva si avveri? E' possibile
che risorga una credibile speranza per coloro che confidano nel valore della
democrazia e della solidarietà? E, soprattutto, chi potrà operare questo "miracolo" in un tempo in cui
sembra che lo spazio della fratellanza e della democrazia vada inesorabilmente restringendosi?
In realtà, a guardare le cose sotto la più banale
superficie, un soggetto sociale
capace di assumere sulle proprie spalle l'onere di spingere innanzi il carro
della fraternità già esiste: si fa fatica a scorgerlo in mezzo al chiasso
luccicante dell'arrivismo, dell'arricchimento a ogni costo, del mettere se
stessi, il proprio interesse, la propria parte, la propria nazione, la propria
etnia, la propria cultura, la propria razza al di sopra d'ogni cosa; eppure
esiste.
Esiste tra le pieghe della società; esiste in ogni ambiente,
in ogni ceto o classe, in ogni nazione, in ogni cultura: esiste e opera
nascosto, disperso e silenzioso, il più delle volte inconsapevole di sé e del
proprio valore. E' una minoranza quasi invisibile ma certamente corposa, che
non sa ancora di essere un soggetto sociale, ma esiste. Tu che leggi queste
pagine, con tutta probabilità, ne fai parte.
Si tratta di quella che potrebbe essere definita - per usare
un termine illustre che oggi appare forse anacronistico - la nuova classe generale di domani: una "classe" oggi
ancora in fieri, la
"classe" dei costruttori di
fraternità. Si tratta di tutti coloro, singoli o gruppi, di cultura
religiosa o laica, che operano nel proprio orizzonte di lavoro, di relazioni
sociali, di vita, nel segno di un positivo riconoscimento delle differenze, di
una modulazione d'ogni attività nel senso di una generosa accoglienza nei
confronti dell'"altro". E che in tal senso promuovono iniziative,
strutture, spezzoni di vita associata.
Operano, in quanto "costruttori di fraternità",
negli interstizi di una società in gran parte sorda alla loro ispirazione. Di
più: fra le pieghe di una società che si muove generalmente in senso contrario
alla direzione di marcia del loro operare. La loro condizione assomiglia - per
quanto valgono i paragoni storici - alla condizione in cui si trovavano, nei
loro primi tempi, le due classi sociali determinanti dell'età che or ora si è
conclusa: la borghesia e il proletariato.
Assomiglia, cioè, alla condizione della borghesia italiana
in età comunale: un insieme variegato di figure cresciute all'interno delle
nicchie lasciate aperte dal vecchio potere feudale e in attesa (che risulterà
poi vana) di un attore maieutico capace di portarlo alla luce e di fargli
assumere il ruolo di classe egemone della nazione. E assomiglia anche alla
condizione della classe lavoratrice nella prima metà dell'Ottocento: un misto
di quasi-artigiani e di "dannati della terra" in attesa di trovare
chi ne facesse un soggetto collettivo consapevole, l'irresistibile promotore
del riscatto di chi col proprio lavoro sostiene il peso immane del moderno
sviluppo. Dovranno venire la monarchia nazionale nell'un caso (tardi e in modi
anomali per l'Italia), lo Stato liberal-democratico nel secondo, perché
borghesia e proletariato si costituiscano in "classi generali" del
proprio tempo. Anche la nuova "classe generale" tuttora in embrione
ha bisogno di una valida levatrice per maturare e venire finalmente alla luce:
ne ha bisogno quanto e forse più delle due classi che l'hanno preceduta.
7) Una politica
"maieutica"
C'è un aspetto disperante nella condizione in cui versano
oggi, in Italia (ma forse, sia pure in modi meno esasperati, anche nel resto
d'Europa), le forze che non si arrendono all'ineluttabilità del berlusconismo: sembrano
prigioniere del dilemma fra la difesa nostalgica di un "vecchio" che
non può tornare e la scimmiottatura del "nuovo" che il ceto politico
baciato dal successo - e dal consenso popolare - incarna. Tertium non datur:
così almeno sembra.
Eppure, se il discorso condotto fin qui non è privo di senso
e di fondamento, una soluzione "terza", rispetto a quelle due facce
della resa, esisterebbe. E sarebbe quella di cominciare a dar vita, già in seno
alla società civile, e poi nella proposta programmatica per un governo
orientato in tutt'altro modo rispetto a quello oggi in sella, al soggetto maieutico che si assuma il
compito di far emergere la "nuova classe generale" dei costruttori di
fraternità.
Come impostare questa attività maieutica? Essa andrebbe impostata
su due piani fra loro distinti ma inscindibili: innanzi tutto sul piano del sostegno a tutte le iniziative, le
manifestazioni concrete, i progetti e le proposte credibili in cui si incarni -
in misura comunque significativa - il principio della fraternità; e poi sul
piano della responsabilizzazione, in
primo luogo in termini di bilancio economico e di confronto col mercato, delle
medesime iniziative, manifestazioni, proposte. Alla fraternità, in sostanza,
andrebbe applicato il principio enunciato dall'art. 81 della Costituzione per
le leggi che comportino maggiorazione di spesa rispetto a quanto previsto nel
bilancio dello Stato: "Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese
deve indicare i mezzi per farvi fronte".
Questa del "sostegno responsabilizzante" offerto
alle esperienze, proposte e iniziative ispirate al principio della fraternità
potrà essere, del resto, l'asse portante di un governo realmente democratico.
Si tratterà di un modo di governare profondamente nuovo: né statalista né liberista,
ma cibernetico, capace cioè di
intervenire attraverso i soggetti sociali operanti nel tessuto economico e nel
mercato, promovendo quelli fra di essi che - proprio in quanto ispirati al
principio della fraternità - siano fattori di democratizzazione dello stesso
mercato e più in generale della struttura sociale ed economico-produttiva del
Paese (un discorso analogo, anche se in termini di maggiore complessità, andrebbe
fatto sul piano internazionale; e un discorso sostanzialmente simile, anche se
con strumenti, in buona sotanza, diversi dal mercato, andrebbe fatto sul
terreno della responsabilità ambientale e verso le generazioni future, etc.).
Ma il vantaggio vero rispetto a una linea statalista (o
comunque "pubblicista") di promozione degli interessi dei più deboli
consiste nel fatto che qui non c'è alcun bisogno di attendere che la "mano
pubblica" intervenga dall'alto: le realizzazioni avvengono all'interno della società civile, del
tessuto economico-sociale, per iniziativa di cittadini singoli o associati; e
così avviene anche il reperimento delle risorse. Formazioni politiche di ampio
respiro (partiti, movimenti organizzati) possono contribuire fortemente a
federare, quindi a rendere più incisive e visibili, e anche più organiche, le
realizzazioni di fraternità, dando vita a un reticolo capace di incarnare,
sostenere e già prefigurare la prospettiva della società strutturalmente
democratica. L'avvento di un governo indirizzato nello stesso senso avrebbe
l'effetto di far fare un vero e proprio passaggio
qualitativo a tale prospettiva e alla "classe" che ne promuove la
realizzazione: analogamente a quel che avvenne, per la borghesia e per il
moderno capitalismo sul continente europeo, con la Rivoluzione Francese e con
l’espansione napoleonica.
8) La triade
ripristinata
Nella prospettiva qui sommariamente tratteggiata la
fraternità - ci si potrebbe domandare - è destinata a soppiantare, o a
riassumere in sé, gli altri due principî, libertà e uguaglianza? No di certo.
E' agevole, infatti, rendersi conto di come una fagocitazione degli altri due
principi da parte della fraternità si tradurrebbe inevitabilmente in una
cristallizzazione delle differenze date,
e cioè in una sostanziale negazione sia della facoltà di ciascuno di cambiare
in meglio la propria condizione, sia di ogni prospettiva di progresso per la
società nel suo insieme. Tanto per i singoli quanto per la società, una
fraternità assolutizzata significherebbe insomma una scelta di pura conservazione, quindi una vera e
propria, intollerabile negazione della dimensione
storica.
Le cose vanno poste in modo del tutto diverso. Mancando di
un proprio principio di organizzazione dei rapporti sociali, la democrazia si è
dovuta finora limitare a un livello di superficie, senza potersi esprimere
autonomamente come sistema, e si è
dovuta invece appoggiare a sistemi a essa estranei. Ponendo a propria base il
principio a essa omogeneo della fraternità, la stessa democrazia può invece
investire di sé&, finalmente, l'intero spessore
della società e — proporsi come vero e proprio sistema sociale.
Il che significa semplicemente, in rapporto agli altri due
principî, che essi sono ricondotti al ruolo che è loro proprio: ruolo che non è
quello di fondamenti di un sistema sociale (essendo storicamente dimostrato, infatti,
che le società incentrate su di essi sono parziali e oppressive per l'uomo), ma
è invece un ruolo di valori-limite,
cui è affidata la capacità dinamica di una società che trova il suo fondamento
nel principio della fraternità.
Il principio della libertà
costituisce infatti la condizione indispensabile affinché l'umanità associata
esperimenti via via il nuovo in ogni
campo: senza salvaguardare tale principio, la vita sociale tenderebbe di fatto
alla ripetitività priva di capacità innovativa, quindi di interna capacità
dinamica. Una politica "maieutica" sul tipo di quella tratteggiata
poco sopra, imponendo la condizione della responsabilità per ogni sostegno -
sociale o pubblico - da darsi alle iniziative di fraternità, varrebbe fra l'altro
a sollecitare (poiché non si dà responsabilità senza libertà) l'emergere della
dimensione della libertà, rischiosa e però entusiasmante, in ogni gruppo
sociale, in ogni istituzione, in ogni singolo individuo.
Il principio dell'uguaglianza,
a sua volta, costituisce la condizione perché il riconoscimento delle diversità
non si traduca in loro antistorico ribadimento: costituisce l'antidoto al
rischio di cristallizzazione castale insito in ogni differenziazione fra gli
esseri umani. Per dirla parafrasando il Marx "profetico", il tener
fermo quel principio (ciò che deve esser fatto nella sfera più gelosamente
propria dello Stato) rappresenta la necessità di mantenere comunque una cornice di "diritto uguale" a temperamento permanente del progressivo affermarsi
nella vita sociale di un diritto "fraternamente disuguale".
10 Libertà e uguaglianza dovranno essere, insomma, un po'
l'asse centrale e la lamina avvolgente, le polarità opposte che producano la
corrente capace di vitalizzare il corpo di una società che il principio suo
proprio della fraternità renda realmente umana e strutturalmente democratica.
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